lunedì 28 settembre 2015

Come linkare il client C di PostgreSQL da un programma C++ usando CMake

Mi sono imbattuto di recente sul problema di linkare una libreria condivisa con il driver di PostgreSQL, il tutto usando Linux su una macchina a 64 bit.

Il programma è in C++ quindi la prima scelta è ricaduta su libpqxx.
Con grande delusione ho notato che libpqxx da problemi se il programma principale segue lo standard C++ 11 o l'ultimo C++ 14.
Poco male, ho pensato di linkare direttamente il client C di PostgreSQL, tuttavia la documentazione in giro non è molta.
Sono riuscito nell'impresa con questi accorgimenti:

nel file CMakeList.txt bisogna mettere
link_directories (/usr/lib64)
target_link_libraries (nomedelprogetto pq)

pq indica il file libpq.so, che si trova in /usr/lib64.

Nella parte C++ bisogna che l'inclusione della parte del driver indichi che si tratta di una libreria in C, quindi:

extern "C" {
    include <libpq-fe.h>
}

Questo permette di usare strutture e funzioni del driver, come PQconnectdb, PQexec, PGconn, PGresult, PQgetvalue, PQclear o PQfinish ecc...


venerdì 11 settembre 2015

Riferimenti Incrociati

Una lezione che non mi aspettavo, durante questo mio studio del C++ è che i riferimenti incrociati sono un anti pattern, una pratica da evitare.
Il C++ onestamente gestisce malissimo i riferimenti incrociati.
Con riferimento incrociato si intente una classe A che ha un riferimento a una classe B, mentre proprio quest'ultima ha un riferimento alla classe A.

Esiste un trucco che si chiama class forwarding che consiste nel dichiarare la classe chiamata in una delle due, però non si possono chiamare i metodi degli oggetti di tale classe.

Diverso è il caso nel quale si ricorra all'uso dei vecchi puntatori puri, i quali però hanno il tragico difetto che non dicono chi è l'incaricato di liberare la memoria.

Questo succede perchè il compilatore, mentre lavora su A, non conosce la dimensione di B e, mentre esamina B, non ha ancora finito di compilare A.
Mentre in Java il problema non si presenta, perché il compilatore fa un lavoro più semplice, trattandosi di un linguaggio con molte meno regole e sfumature, è impossibile per un compilatore C++ lavorare su classi parzialmente compilate.

Funziona con i puntatori perché la dimensione del puntatore è fissa, indipendentemente dall'oggetto puntato.

Dopo il primo shock quando mi sono accorto di questa limitazione, ho fatto un po' di ricerche.

Effettivamente i riferimenti circolari sono una possibile fonte di problemi, si pensi per esempio ai loop infiniti. C'è chi li considera un esempio di cattiva progettazione. Personalmente considero questa affermazione come un po' forte, di sicuro con il C++ sono un problema.

In Java li ho sempre visti con grande libertà. Ripensare un programma con molti riferimenti circolari, di sicuro porta a una struttura finale decisamente più semplice.


mercoledì 9 settembre 2015

Puntatori intelligenti per problemi stupidi

Negli ultimi mesi ho studiato una parte delle novità introdotte negli ultimi anni nella libreria standard di C++.

I puntatori puri, le famose stelline * tanto famose con il C sono di fatto quasi deprecati, alcuni autori dicono che non ci sono ragioni oggi per usarli se non quando si presentino problemi di prestazioni o in caso di risorse molto ridotte.

Devo dire che districarmi tra puntatori, riferimenti, shared_ptr e unique_ptr per me abituato a Java, è stato piuttosto difficile: la gestione della memoria "semi automatica" del nuovo C++ e la scelta tra tenere un'istanza nello stack o nello heap impongono quasi di imparare a programmare di nuovo.

Attualmente il mio livello di comprensione mi porta alle seguenti conclusioni.

Effettivamente il puntatore puro è evitabile in un normale programma gestionale, a meno che non ci si debba interfacciare con delle librerie che lo richiedono.


In C++ oggi è importante stabilire quale oggetto è proprietario di un altro e il proprietario è quello che determina il rilascio del secondo oggetto, cioé quando il proprietario è distrutto, questo determina la distruzione del secondo oggetto. Tale operazione si può fare in automatico, usando un unique_ptr.

Nel caso di variabili di istanza, io ho individuato i seguenti casi:

Il riferimento indicato con la e commerciale & è comodissimo per fare riferimento all'istanza di un altro oggetto se sicuramente mai nullo e mai usato dopo il suo rilascio, senza che il primo ne sia il proprietario.

Una variabile di istanza di un oggetto di proprietà mai nullo, se non è troppo grande, può stare nello stack senza puntatori di alcun genere o riferimenti.

Un riferimento ad un oggetto di proprietà, ma che può valere null è un buon candidato per essere puntato da un unique_ptr o da uno shared_ptr, perché il riferimento & non può mai valere null.

Una variabile di istanza di un oggetto che è di proprietà di un altro oggetto, che potrebbe valere null, potrebbe essere un candidato per uno shared_ptr.

Una lista concatenata o un vettore di oggetti che sono proprietà di altri oggetti, dovrebbe contenere degli std::reference_wrapper.

Una lista concatenata o un vettore (si chiamano contenitori in C++, sarebbero le Collections di Java) di oggetti di proprietà,  può mantenere tali oggetti nello stack.

L'uso di shared_obj non poi così limitato come si legge in giro. Si usa dove si potrebbe usare & ma c'è il rischio che l'oggetto puntato sia tolto dalla memoria prima del riferimento e dove si cerchi di chiamare i metodi dell'oggetto tolto.

Questo unito all'impossibilità di valere null, è un vero e proprio rischio nell'usare il riferimento &. A differenza di Java, in C++ è possibile per errore togliere dalla memoria un oggetto che ha dei riferimenti attivi, così come è possibile tentare di cancellare gli oggetti più di una volta, creando problemi com'è ovvio...

In generale, a meno che non si tratti di oggetti enormi, conviene tenere tutto nello stack, perché è più semplice, il problmema è se il dato può valere null, personalmente non capisco perché si sia rimandata l'introduzione della classe Optional allo standard C++ 17, ma pazienza...

Dopo questi mesi di studio, mi sento di affermare che il C++ offre diverse possibilità di gestione della memoria manuale, che però richiede molta attenzione.


venerdì 21 agosto 2015

No, non sono un mago

A volte ci si aspetta che l'informatico, sia esso un programmatore o un sistemista o magari anche un più generico consulente aziendale, sia in realtà un mago in grado di risolvere tutti i problemi di natura tecnica, indipendentemente dalla complessità e natura del problema.

Siamo persone, fatte di carne e ossa, che hanno studiato e hanno più o meno esperienza nel settore, ma non possiamo risolvere tutto.
Il problema, secondo me, sta nella scarsissima cultura informatica di molte persone con compiti dirigenziali, le quali semplicemente non si rendono conto di cosa si può chiedere, di cosa ci si può aspettare. Si può chiedere di tenere in equilibrio una matita per la punta, se non si hanno nozioni di fisica o se non si sa cos'è una matita...

Un altro aspetto che mia sempre sconcertato  è la scarsa propensione a formare il personale che lavora in ambito tecnologico. Pensare che la tecnologia oggi è sempre più mettere assieme parti fatte da altri, con dei comportamenti e delle interfacce che vanno conosciute. Le stesse persone che non vogliono formare i dipendenti sono le stesse che si aspettano risultati.

Sempre più spesso di vedono aziende che cercano personale già formato, anche su tecnologie nate per gli hobbisti, che un professionista con esperienza imparerebbe in meno di 15 giorni... L'importante è non investire sul personale, usare il know how della gente full time per un periodo limitato di tempo, finito il quale se si rende necessaria una nuova tecnologia, si cambia persona...

E' un mondo feroce.

Le aziende non cercano tecnologie moderne e sofisticate, che garantiscono libertà dai vendor e magari una forte scalabilità, bensì in tecnologie buone per fare prototipi, l'importante è avere qualcosa presto, poi ci penseremo.

Cosa ci salverà?
  1. Le aziende dovrebbero prendere coscienza che sviluppare un progetto non significa semplicemente "tirare fuori qualcosa", che la fase di progettazione e studio hanno il valore maggiore.
  2. Le aziende dovrebbero adottare le soluzioni open source, non soltanto quelle banali e semplici, ma soprattutto le piattaforme e gli strumenti che permettono, con una fase di configurazione, magari dopo diversi tentativi, di realizzare il servizio del quale hanno bisogno. In questo modo i costi ti tengono bassi (l'open source spesso cosa meno) e i tempi sono corti (il programma spesso è giù fatto, va soltanto configurato).
  3. Le aziende dovrebbero finalmente capire che il personale non è un costo, le persone fanno l'azienda, non il denaro, se le persone crescono, conoscono e si trovano bene, in un ambiente umano, non se ne andranno, sprecando così l'investimento fatto su di loro, anzi saranno proprio le persone a creare il profitto.
  4. Noi dovremmo renderci pienamente conto di cosa cerca il mercato e capire una volta per tutte che ciò che rende soldi nel breve periodo, difficilmente li renderà nel lungo periodo e viceversa...

lunedì 3 agosto 2015

Chi me lo fa fare? Me stesso

Oggi chattavo con un caro amico, un ingegnere bravissimo, il quale mi ha chiesto come mai sto studiando il C++, chi me lo fa fare.
Il C++ potrà servire per le nuove Internet of Things o nel mercato embedded, ma quando il ferro costa poco, come con i cloud...

Le mie previsioni sono più ottimistiche.
Su internet  le risorse si pagano salate e soltanto consumandone poche, l'applicazione costa poco.

Ci sono strumenti per scrivere applicazioni veloci e cross platform, si possono scrivere applicazioni che girano ovunque, c'è il sempre verde PHP.

Io ho il massimo rispetto per le soluzioni buone per le demo e per gli strumenti che aiutano i neofiti a cominciare. Anche io sinceramente sento che se conoscessi meglio il PHP avrei dei vantaggi per fare un'applicazione web in poco tempo e c'è tutt'ora una discreta richiesta di programmatori PHP, il motivo è che le applicazioni che necessitano di carichi di lavoro bassi e devono essere scritte con budget molto risicati, possono essere tranquillamente scritte in PHP, il problema semmai è quando queste condizioni cadono, aumenta il carico di lavoro o l'aplicazione cresce e diventa più complicata.

E' ancora possibile usare un linguaggio semplice come il PHP, però le cose diventano ancora più complicate che se si fosse usato Java o, perché no, il C++.

Ritengo che il C++ possa svilupparsi anche in ambito web, oggi più che nel passato, a patto che ci sia una libreria utile. In questo caso si può sviluppare velocemente. Questa è la mia scommessa.

Quindi chi mi fa studiare il C++ ? Io !

martedì 21 luglio 2015

C++ che passione

  Seguo il C++ da anni. Non ho mai avuto il coraggio fino ad ora di consigliarne l'uso in dei progetti in produzione, a meno che non mi fosse espressamente richiesto.
Si tratta di un linguaggio potentissimo e terribilmente complicato da imparare.

  Rimanere compatibile (provarci almeno) con dei sorgenti scritti quasi 40 anni fa, ha "arricchito" il linguaggio a tal punto che la stessa azione si può compiere a volte in 4 o più modi diversi, però soltanto un modo è il migliore, gli atri sono da conoscere solo per capire cosa fa il vecchio codice esistente...

  Prendo per esempio i puntatori.
  Sono una delle prime cause di errore. I puntatori puri oggi, dopo la pubblicazione del C++ 14, sono suggeriti come "evil", il diavolo da evitare come la peste.
Quindi abbiamo:
  • I puntatori puri * che provengono dal C e sono da evitare.
  • I riferimenti & che sono un po' più comodi ma non risolvono il problema della memoria mai rilasciata
  • Gli smart pointers (shared_ptr e weak_ptr) per i quali spesso si sconglia l'utilizzo, perché creano il problema di condividere la proprietà di un oggetto e non si sa, se questo possa essere effettivamente tolto
  • Lo unique_ptr che pare essere la panacea di tutti i mali, la risposta al problema del memory leak, però non può essere copiato, ma solo spostato...
  E' interessante notare come un vettore non possa contenere dei riferimenti, ma solo puntatori puri...si possono usare gli shared_ptr, ma li trovo un po' complicati. Oggi non saprei dire con certezza se i puntatori puri siano da evitare sempre nei progetti nuovi.

  A differenza di quanto avviene in Java o in .Net, dove un pesantissimo garbage collector cerca di ripulire la memoria non più utilizzata, gli smart pointers del C++ richiedono al programmatore di porsi il problema di chi è il proprietario del dato. Lo smart pointer rilascerà la memoria, quando sarà rilasciato il proprietario... è un nuovo approccio, a mio avviso semplice e geniale, per eliminare l'overhead del GC, croce e delizia dei programmatori, soprattutto neofiti, ma croce e basta dei sistemisti...

  Il problema fondamentale con il C++ secondo me non è tanto che il tempo di apprendimento sia lungo, che la curva di apprendimento sia ripida o che costi tantissimo formare il personale, il vero problema con il C++ è che ti costringe a PENSARE. Non si può programmare meccanicamente, non c'è posto per le scimmiette ammaestrate che "vanno", che "producono" codice ripetuto e da buttare via dopo 6 mesi... Con il C++ ci vuole un thread in testa che continuamente ti dica: "stai facendo veramente la cosa giusta?"

  Si può spendere un sacco di tempo su poche righe di codice, ho scritto spendere, non buttare...

mercoledì 11 febbraio 2015

Terminare Finalmente

Chi proviene dal C++ sa bene che è molto importante rilasciare la memoria allocata precedentemente nello heap. Le classi C++ hanno il distruttore proprio per questo motivo.
Potrebbe sembrare che il metodo finalizer di Java sia l'equivalente del distruttore in C++.

NON LO E' !!!

Il metodo finalizer di Java è da usare soltanto in due casi:

  1. Come rete di protezione per assicurarsi che una risorsa nativa sia stata rilasciata e per questo scopo è stato creato un metodo apposito che l'oggetto client si potrebbe essere dimenticato di chiamare.
  2. Per rilasciare delle risorse native non critiche, cioè risorse la cui occupazione non deve essere rilasciata il prima possibile. Infatti se una classe Java chiama una libreria nativa, il garbage collector non può intervenire sulla parte nativa, quando rilascia l'oggetto in Java, quindi il finalizer in questo caso ha senso, però il programmatore potrebbe comunque fare un metodo di rilascio e chiamarlo.


Il metodo finalizer è chiamato dal Garbage Collector, quindi non c'è la certezza di quando è chiamato: dipende da quale algoritmo di GC è usato e dalla particolare implementazione della virtual machine.
La virtual machine potrebbe anche terminare senza che il finalizer sia mai stato chiamato.
I metodi finalizer rallentano il programma.

Il modo corretto di rilasciare le risorse critiche è un try finally, non il finalizer !

Anche se si chiama System.runFinalization non si ha la garanzia che il finalizer sia chiamato, mentre il System.runFinalizerOnExit e il Runtime.runFinalizerOnExit sono stati deprecati.

Il finalizer pone problemi anche con l'overriding di una sottoclasse, nel caso in cui il programmatore distratto si sia dimenticato di chiamare il super.finalizer() nella sottoclasse, a tal proposito ha senso definire nella superclasse un oggetto come proprietà privata, il quale deve avere il finalizer per liberare le risorse, in modo che, se anche la sottoclasse non chiama il super.finalizer(), quando interviene il garbage collector, questi chiami automaticamente il finalizer dell'oggetto privato, non si sa quando.

Una curiosità per i programmatori C++: la parentesi graffa chiusa } è un operatore nel mondo C++, quindi se abbiamo aperto un file e abbiamo il riferimento nello stack, la graffa chiusa chiama il metodo close() !!!

Questo in Java non succede, perché la parentesi graffa indica soltanto la fine del blocco di codice, si deve ricorrere al try finally o al try-with-resources che accetta oggetti chiudibili e si occupa di chiuderli automaticamente alla fine del blocco try, altra dimostrazione che il finalizer è da evitare come la peste, perché il modo giusto è ricorrere il più possibile al try.

domenica 1 febbraio 2015

Dove non arriva lo spazzino

Uno degli elementi che piace di più ai giovani programmatori e a ai manager anziani riguardo a Java è il Garbage Collector: uno spazzino che arriva a liberare la memoria, che noi programmatori abbiamo allocato in modo automatico, trovando tutto ciò comodissimo.
Invito il lettore a parlare con qualsiasi sistemista che si occupi di monitorare l'occupazione di memoria della macchina e a chiedergli se anche lui (o lei) è d'accordo sulle meraviglie del Garbage Collector (GC).
Il GC è un'arma a doppio taglio, si tratta di un algoritmo complesso, che è una delle prime cause della lentezza di Java, inoltre è un invito per i programmatori per diventare pigri.
Ci sono casi infatti dove la disabitudine dei programmatori Java a occuparsi della memoria, dando fiducia completa al Garbage Collector, portano a dei memory leack.

Si possono individuare 3 casi dove il programmatore Java deve prestare attenzione, per non rendere impossibile il lavoro del GC.

1) Raggiungere l'insufficienza di memoria tramite la ritenzione non intenzionale di oggetti. Se si ritengono dei riferimenti a degli oggetti, per esempio in un vettore o in uno stack dove si desidera rimpicciolire la dimensione della struttura e non si pone a null il valore degli elementi rimasti fuori dal limite abbassato, succede che tali riferimenti impediranno al Garbage Collector di liberare la memoria degli oggetti riferiti.

2) Le cache devono liberare gli elementi più vecchi. E' comune tenere in cache dei riferimenti a degli oggetti in cache e dimenticarsi poi di togliere tali riferimenti, quando questi non sono più usati da tanto tempo. Una buona struttura per realizzare una cache in Java è il WeakHashMap. Nel caso invece dove si scelga una LinkedHashMap, esiste un metodo molto interessante: removeEldestEntry che toglie l'elemento più vecchio, magari si può realizzare un Timer o uno ScheduledThreadPoolExecutor che periodicamente lo chiama per pulire la cache degli elementi più vecchi.

3) I listener sono spesso usati per le applicazioni desktop. Richiedono molta attenzione perché i listener vanno tolti dalla lista dei listener registrati, quando non servono più, perché troppo spesso i listener rimangono e cresce il numero di riferimenti a oggetti, compromettendo l'occupazione efficiente della memoria.

Questi punti si trovano descritti sempre nell'ottimo Effective Java di Joshua Bloch.

mercoledì 28 gennaio 2015

I benefattori

Osservando le nuove offerte in campo dello sviluppo, vedo strumenti cross platform sopratutto per i cellulari.
Ho parlato con un amico, titolare di una importante software house, il quale mi diceva che stava cercando uno strumento per scrivere il codice una volta sola per Android e iOS.
Scrivere il codice una volta sola vuol dire risparmiare, avere una base unica sulla quale fare le modifiche, vuol dire tagliare i costi di produzione del proprio prodotto e raggiungere un target di clienti il più ampio possibile.

Uso Java dalla versione 1.0.1beta su OS/2 Warp, che i più giovani forse nemmeno ricordano. Dovrei sentirmi inorgoglito del fatto che oggi sempre più persone riconoscano che avevo ragione, che è importante non escludere dei clienti possibili, rispettando le loro scelte, perché il sistema operativo è parte importante del modo di lavorare di una persona e una persona lavora diverse ore al giorno...
Ricordo il dileggio di chi mi faceva notare che Microsoft era la più forte, che il mercato era saldamente nelle sue mani e gli altri erano ininfluenti. A onor del vero oggi lo scenario delle piattaforme mobili è ben diverso, molto più variegato e probabilmente gli stessi che tempo fa imparavano a usare VisualBasic e si sentivano Grandi Programmatori non si preoccuperebbero minimamente di studiare HTML, JavaScript, Java ecc... se il loro campione da seguire oggi fosse ancora il dominatore assoluto delle percentuali di installato, come negli anni '90. A loro vorrei ricordare che senza Java non ci sarebbe nemmeno C#, tentativo fallito di Microsoft di copiare una tecnologia allora migliore della loro. Oggi C# è un ottimo strumento per sviluppare su piattaforma Microsoft e gli altri mercati desktop sono ininfluenti, diverso invece è il discorso per quanto riguarda il mercato mobile.

Invece io non sono più così convinto che il cross platform sia la scelta vincente sempre.

E' più facile oggi fare cross platform rispetto a 20 anni fa: ci sono più librerie che nascondono la piattaforma e la crescente potenza dell'hardware permette di tenere degli strati di compatibilità tra l'applicativo nativo e il sistema sottostante. Penso per esempio all'ottimo Parallels su Mac OS X che permette di fare girare ad esempio  Microsoft Office per Windows senza vedere il desktop di Windows, ma di vedere le finestre Windows assieme a quelle del Mac. Penso proprio ai tempi di OS/2 quando di vedevano le finestre dei programmi per windows 3.1 assieme a quelle di OS/2, ma allora l'hardware non era così generoso come oggi e andava tremendamente piano.

20 anni di sviluppo cross platform mi hanno però insegnato che ci sono delle spine in questo mondo di rose. Le applicazioni cross platform non sfruttano mai le caratteristiche della macchina, ma soprattutto NON SI COMPORTANO SECONDO LE ABITUDINI DEGLI UTENTI.

Parlavo con un utente Windows che per le prime volte usava il fantastico The Gimp per il fotoritocco. Egli si arrabbiò perché la finestra di dialogo per aprire i file non era quella alla quale lui era abituato (The Gimp usava finestra di dialogo per Gnome) e questo particolare sminuiva tutto il progetto.

Chi ci "regala" applicazioni cross platform lo fa per LEGARCI ALLA SUA PIATTAFORMA, rendendo inutile il sistema operativo sottostante, per creare un ecosistema di applicazioni e quindi di persone, che hanno bisogno di lui. Questo spiega anche perché spesso le piattaforme cross platform impongono il loro look and feel anche quando potrebbero (e dovrebbero) appoggiarsi ai componenti del sistema sottostante. Garantire lo stesso aspetto su più piattaforme non serve tanto agli utenti, i quali tipicamente ne usano soltanto una. HTML5 mi sembra un'ottima specifica, applicata solo in parte dai produttori di piattaforme, i quali vedono positivamente la sostituzione di Flash, che è proprietario e i plugin sono pesanti, con uno standard aperto, ma l'idea che gli applicativi possano farsi senza dipendere da loro non va loro certamente a genio: quindi l'uso di uno strumento cross platform è sempre più scomodo per l'utente rispetto alle applicazioni native.

Prima di scegliere lo strumento bisogna pensare bene a cosa serve e a CHI LO USA.

NON DICO CHE BISOGNA TORNARE ALLE SOLUZIONI NATIVE in massa, dico che vedo un futuro migliore per chi sviluppa una soluzione nativa per il core dell'applicazione, che deve espandersi e crescere tramite dei generatori di codice o con dei motori che creano l'applicazione a partire da regole o parametri. Questa soluzione è oggi usata da pochi, per quando posso vedere dalla piccola finestra che ho sulla realtà, il motivo è che progettare un'applicazione è un conto, ma progettare un'architettura magari personale è tutt'altra cosa. Su questo fronte c'è ancora spazio per la piccola azienda creativa, che riscopra il valore della progettazione e dell'analisi sui dettagli che si ripropongono nei vari progetti dei quali si occupa.

La logica si può sviluppare con uno dei tanti linguaggi cross platform (Java, C#, JavaScript, anche il C++ 14 va bene) o con sistemi più sofisticati di scripting.
Anche le tanto vituperate stored procedure oggi sono piuttosto portabili e possono essere prese in considerazione e chi le sceglie merita rispetto.

Ci vuole coraggio per sviluppare la propria libreria di base. Scrivere generatori di codice o addirittura scrivere in xml dei layout che poi si applicano automaticamente ai dati da rappresentare, magari seguendo il Naked Object pattern e mettendo da parte il sopravvalutassimo MVC.

Sono queste secondo me le linee da seguire per chi nel 2015 non lavora solo su progetti altrui e vuole continuare a fare il proprio mestiere di produttore di progetti software, senza reinventare la ruota ma mantenendo la propria indipendenza e libertà.


domenica 18 gennaio 2015

Il Pinguino Talebano

  Sono un talebano, l'ho scoperto, me l'hanno detto tanto tempo fa e non ci volevo credere.
  Sono un incoerente che a volte apre il software a volte lo chiude, odia i progetti ai quali partecipa e che lo impegnano anima e corpo in una condizione monodimensionale, sottraendo tempo ed energie al resto della propria vita, come tutti i talebani insomma.

  Quindi?

  Per coerenza se sbatto la testa sul muro devo forse continuare a dare craniate affinché la gente mi applauda per la mia perseveranza, mentre io li ringrazio, con i cerotti in faccia magari?

  Stanco della classificazione e dei commenti, posso dire ora, dopo circa 20 anni di carriera nel campo del software, che la coerenza non mi interessa: mi interessano gli obiettivi e volta per volta cerco di decidere al meglio. Essere considerato un talebano perché i compromessi proposti dagli altri non risolvono il problema ora lascia il tempo che trova.

 Veniamo ora a capire perché si fanno progetti open source e dove invece l'open source non è da preferirsi.
  Ci sono diverse ragioni e motivazioni dietro alla rinuncia della segretezza: narcisismo, voglia di fare cose con gli altri, voglia di contattare altre realtà che ci possono dare lavoro, progetti scolastici, voglia di aiutare gli altri, voglia di restituire alla comunità mondiale una parte di ciò che si ha ricevuto, come se fosse un parziale risarcimenti di un debito ecc...

 Le scelte dietro alla volontà di aprire il codice VANNO RISPETTATE e ho sempre considerato dei cafoni coloro i quali hanno si facevano beffe all'inizio della comunità open, considerando a stregua di fessi quelli che rinunciavano al segreto del proprio lavoro per mettere le manette ai polsi dei propri utenti, pratica assai comune per costringere il malcapitato che ci aveva dato fiducia a continuare a pagare il bravissimo autore del proprio software.

 Ora, stando alle parole di Mr. Stallman, usare il cloud sarebbe stupido e toglierebbe libertà agli utenti. A parte il fatto che nessuno punta una pistola alla tempia dell'utente se non usa il cloud e usare il cloud è semplicemente un servizio comodo, poi ognuno fa le sue scelte.

  Ha senso aprire sempre il proprio codice, sviluppato magari a costi bassi come strategia commerciale per puntare a una lunga assistenza dopo ? Ha senso consentire ad altre persone di trarre giovamento dai nostri sforzi  e dalle nostre procedure o non è forse favorire un concorrente? E' una decisione troppo egoistica pretendere di vivere ? Oggi posso dire che a volte la chiusura è necessaria, per proteggerci da competitori senza scrupoli, però è altresì vero che sviluppare procedure ad hoc alle quali delegare la nostra sopravvivenza economica, in un mondo globalizzato, ha sempre meno senso.

  Quest'ultimo punto merita un approfondimento: 30 anni fa dove sviluppatori indipendenti e software house erano come isole staccate tra di loro, con comunicazione pressoché inesistente e delegata ai libri e alle riviste, era alta la probabilità che un diverse persone giungessero alle stesse conclusioni ma non venissero mai in contatto. La richiesta di software era in aumento costante, quindi la protezione e la chiusura erano strategie vincenti.

  Ma oggi assistiamo in ambito commerciale ciò che è stato per anni vero in ambito scientifico: le scoperte veramente originali sono pochissime, si cresce piano partendo da ciò che già esiste, le forze a disposizione delle piccole società di sviluppo sono poca cosa rispetto alla massa di software e di soluzioni testate e affidabili già disponibili.
  I grandi progetti custom sono necessari e sostenibili più che altro per le banche, le assicurazioni e la pubblica amministrazione, realtà che tipicamente rimangono proprietarie dei sorgenti dei quali commissionano lo sviluppo. La chiusura della soluzione geniale e originale venduta al cliente serve in pratica sempre meno, perché di originale non c'è proprio niente.

 Oggi l'open source è una necessità sempre più spesso, non necessariamente sempre.

 



 

 

lunedì 12 gennaio 2015

Mutatis mutandis

Ultimamente si vedono diversi articoli sulla rete che parlano di oggetti immutabili.

Addirittura classi final con metodi final che non dovrebbero essere nemmeno estensibili per evitare che una sottoclasse possa modificane il comportamento.
Indubbiamente in un contesto multi thread questa pratica risolve in partenza il problema dell'accesso concorrente, tuttavia si pongono dei problemi di ordine pratico rilevanti: per esempio se un oggetto è la radice di un albero e si desidera cambiare il nome del nodo radice, trattandosi di oggetti immutabili, bisognerebbe creare un nuovo oggetto radice e clonare tutti i nodi figli, cioè clonare l'intero albero.

Un approccio che non prevede alcun metodo set potrebbe essere devastante per lo spreco di risorse, prima di tutto per quanto riguarda l'uso della memoria, per non parlare del tempo di esecuzione.
Un altro problema degli oggetti immutabili riguarda i riferimenti alle vecchie versioni degli oggetti, che andrebbero cambiati per aggiornarli ai nuovi.

Ci può essere però una soluzione intermedia e di buon senso che risolve il problema tra oggetti mutabili e oggetti immutabili: il comportamento.

Un oggetto ha una identità, definita da uno o più proprietà, ma ha anche un comportamento, cioè ci sono dei dati che di solito sono archiviati da qualche parte e che possono cambiare senza che si cambi l'identità dell'oggetto. Per esempio prendiamo un oggetto anagrafica che ha nome, cognome indirizzo, per semplicità non ne consideriamo altri. Ora, cambiare il nome e il cognome significa cambiare l'identità della persona, quindi sono campi immutabili, il cui cambiamento è giusto che generi un nuovo oggetto anagrafica. Diverso invece è il discorso per quanto riguarda l'indirizzo, che può cambiare e che dovrebbe riflettere un  dato sul database, cioè la modifica dell'indirizzo si dovrebbe tradurre in un aggiornamento di un campo su un record dell'archivio.

In questo modo il campo indirizzo è mutabile, ma l'oggetto non muta, muta soltanto il suo "comportamento".
Il concetto di comportamento è più intuitivo se pensiamo a un oggetto che abbia il nome di un giocatore e il suo punteggio, il nome definisce l'identità e dovrebbe essere immutabile, invece il punteggio è mutabile. Dal momento che il punteggio magari è archiviato in un unico luogo (potrebbe essere una cache ma questo complicherebbe questo ragionamento, perché una cache non è altro che una copia più veloce dei dati), il riferimento degli altri oggetti all'oggetto giocatore non cambia.

Potrebbe essere questo compromesso una soluzione di buon senso. Peccato che tutto il mondo Java Enterprise non si comporti in questo modo e gli entity siano a tutti gli effetti una cache che copia spesso il modello delle tabelle sul db, essendo oggetti completamente mutabili.

La domanda che ci si può porre a questo punto è se gli oggetti del dominio applicativo possano essere degli entity o se invece non sarebbe più corretto ricorrere a oggetti che facciano da proxy verso gli entity, facendo venire i capelli bianchi a qualche manager di progetto, per i tempi di sviluppo iniziale... chissà... lascio aperto il dubbio ma credo di sì.


lunedì 5 gennaio 2015

Singleton con gli Enum

Chiudiamo questa breve carrellata sui pattern creazionali con la presentazione di una variante del Singleton Pattern.
L'intento di un pattern singleton è assicurare che una classe abbia soltanto un'istanza e che fornisca un punto globale per accedervi.

Questo implica che bisogna impedire agli altri programmatori di creare le proprie istanze, per non venire meno alla specifica di avere una sola istanza di questa classe.
Perché si debba volere una sola istanza è una scelta dell'architettura, che si può condividere o meno.
Personalmente ritengo che le singleton siano una pratica di programmazione non ottimale, soprattutto se diverse parti possono scriverci: espongono al rischio di avere dei problemi, tuttavia bisogna riconoscere alle singleton che possono tornare comode, mi viene da pensare per esempio ad una cache di dati o a un  insieme di proprietà di configurazione da accedere in sola lettura.

Le classi singleton sono spesso un problema, infatti negli ambienti managed non si possono realizzare usando semplicemente un metodo statico, che è pratica sconsigliata sia con Java Enterprise, che con Android e in generale è sconsigliabile in tutti quei casi dove ci possono essere diverse virtual machine o nodi paralleli.

La novità qui è che si può definire un costruttore privato oppure un tipo enum.

public enum Paolo {
  INSTANZA;

  public void faiQualcosa() {
  ...
  }
}

Non è una tecnica molto utilizzata, perché pochi la conoscono, però il tipo enum a un solo elemento rappresenta la soluzione migliore per implementare un singleton.

In caso di deserializzazione non si creano altre istanze e non c'è bisogno di scrivere altro codice per questo, come avviene con gli altri approcci.

Riferimenti presi da "Design Pattern Java Workbook" di Steven John Metsker ed. Eddison Wesley e Effective Java di Joshua Bloch editore Pearson Informatica.